Fortunato Duranti

"Disegno e follia"

Presentato da

Federico Zeri.

 

 

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Non ho mai acquistato, né mai lo farei, un disegno, antico o moderno; dei pochi fogli che mi sono pervenuti, quali oggetti di doni, mi sono disfatto regalandoli a mia volta. Tra note e appunti ho accumulato il materiale che potrebbe servir di base ad una nutrita serie di saggi sul disegno, ma non ho mai messo sulla carta un solo rigo in proposito. Tuttavia, ricerco libri e riviste sull'argomento, ne raccolgo le fotografie, visito regolarmente raccolte pubbliche e collezionisti di grafica d'Europa e di America, e non mi lascio sfuggire le Mostre a carattere monografico, o dedicate a gruppi e a scuole (anche se cerco di non venir notato durante le mie presenze). Il fatto è che quando si ama qualcosa, e la si ama davvero, si finisce col diventare più esigenti o discriminanti: considerando il disegno come la più sincera, la più profonda e anche la più autentica forma di comunicazione visiva e figurativa, mi è accaduto di diventare come quegli amanti che (un po' per non restar delusi, un po' per non renderer gli altri partecipi dei loro piaceri) preferiscono aver rapporti con l'oggetto delle loro affezioni nei modi tra i più segreti, se non persino a lume di candela, nell'assoluto isolamento, rifiutandosi di parlare del tema con chicchessia. Di tutte le espressioni basate sull'immagine, il disegno è quella che, a volerla penetrare compiutamente, esige una dedizione totale, assoluta: così come lo esigono la preghiera e l'esame di coscienza. Su questo punto insisteva continuamente colui che mi iniziò, molti anni fa, ai segreti della grafica (un grande collezionista straniero di cui preferisco tacere il nome); lo stesso che, davanti ai disegni antichi o moderni, mi ha anche insegnato a giudicare i valori figurativi secondo parametri che nulla hanno a che vedere con il nome dell'autore o con la sua effettiva posizione nel contesto della storia dell'arte, basandosi piuttosto con la carica di partecipazione personale che, di volta in volta, ha guidato la mano dell'artista, anche a dispetto del grado di qualità. Ricordo nei dettagli la visita che facemmo insieme ad uno sconosciuto collezionista di Parigi, che viveva nei pressi dei Champs Elysèes, in Rue Marbeuf: tra molti fogli di eccelsa qualità, ne trovammo (del tutto inattesi) dodici o tredici provenienti dal prodigioso album di Giovanni Battista Tiepolo che apparve nella vendita della Collezione Alexis Orloff nel 1920, e di cui gran parte è sparita da allora. L'entusiasmo che mi colse fu raffreddato dal mio accompagnatore, che, parafrasando un verso di Emily Dickinson ("Help! Help! Another day!") - continuava a ripetere (man mano che gli splendidi disegni ci venivano mostrati) - "Help! Help! Another G.B.!". In effetti, tutto dipende da ciò che si cerca nell'espressione grafica. In quanto esercizi di una insuperabile, spericolata bravura, i percorsi sulla carta della penna di Giovanni Battista e del suo pennello chiaroscurale restano esempi stupefacenti: ma sarebbe impresa vana ricercarvi i riflessi di una vicenda interiore, di una indagine volta a scoprire il mondo oggettivo interpretandolo con l'apertura mentale (sia pure limitata ma che riflette il momento storico particolare e unico) da cui sono, ad esempio, caratterizzati i prodotti grafici di un Giuseppe Bernardino Bison. E così, pur magnifici che siano, i fogli di Carlo Maratta possono anche risultare indicibilmente noiosi, specie a confronto con quelli di un Pietro Testa, ognuno dei quali suscita interrogativi, rappresentando un momento speciale di un continuo, incessante rovello che coinvolge l'intera persona del singolare artista. E' sottinteso che da un'alternativa del genere evadano coloro che stanno ai posti sommi della vicenda figurativa europea: Leonardo disegnatore è sempre, in ogni minimo tratto steso sul foglio, un fatto emozionante, così come lo sono Michelangelo e Albercht Duerer, Raffaello (persino nell'ammirevole calligrafia) e Tiziano, Nicolas Poussin e Goya. Ma mi si conceda di affermare che Francesco Granacci è, come disegnatore, più interessante di Domenico Ghirlandaio, o che, nelle espressioni grafiche, Federico Barocci o Giovanni Benedetto Castiglione superano sé stessi come pittori. Risultando educato secondo parametri e secondo valutazioni del genere, è stato per me un piacere accettare l'invito a fungere da presentatore di una rassegna di fogli dovuti a Fortunato Duranti; come dire ad uno dei casi più singolari ed enigmatici dell'intero arco storico-artistico italiano.

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